tradescandia pallida

Sui tempi lunghi tutto diventa chiaro, dall'atlante di Le Monde diplomatique

« Older   Newer »
  Share  
_NiKoPoL_
view post Posted on 18/7/2009, 18:52




Sui tempi lunghi tutto diventa chiaro
da Le Monde diplomatique: il manifesto; L’Atlante
Un mondo capovolto

Il primo gennaio 2008, nessuno avrebbe puntato forte sull’elezione di un giovane senatore nero dell’Illinois alla presidenza degli Stati uniti. Ma nessuno avrebbe nemmeno sospettato che questo avvenimento tanto inaspettato quanto significativo, costituisse il fatto più importante dell’anno. Perché, nel 2008, il destino di Barack Obama e quello del suo paese sono stati in larga misura plasmati da una forza che li ha sovrastati – e oltrepassati, fino a sconvolgere l’intero pianeta -: “la crisi”. Una crisi devastante, che riflette e mette in causa un modello economico, sociale, ecologico. L’Atlante di Le Monde diplomatique ne mostra le ramificazioni, e disegna le linee di frattura aperte da quel terremoto, che si allargano ogni giorno di più.
All’inizio del 2008, l’impennata dei prezzi dell’energia parve far precipitare l’oscillazione del mondo. Quel rincaro andava infatti a vantaggio della Russia, del Venezuela, dell’Iran, avversari strategici degli Stati uniti. Alla fine del 2008, il petrolio, che raggiunse 147,5 dollari il barile in luglio, ripiombò al di sotto dei 40 dollari – ossia il livello del 2003. Nell’intervallo, la crisi finanziaria iniziata a New York ha provocato la contrazione del credito in Occidente, l’arretramento della domanda globale e il crollo dei prezzi dell’energia. La paura dell’inflazione e dell’indebitamento si è in parte dissolta – quella dell’ “insicurezza”, legata al terrorismo, anche – nel terrore della deflazione e della disoccupazione di massa. E l’energia verde, conveniente con un oro nero a 150 dollari il barile, minaccia di diventare la prossima bolla speculativa dopo quella dei tulipani olandesi (nel XVII secolo), di Internet, dell’immobiliare…
Eppure, il 2008 doveva essere l’anno del “disimpegno”. Il crollo dell’impero americano, si diceva, avrebbe liberato la strada alle potenze in rinascita (la Russia) e ai nuovi giganti (Brasile, India, Cina). In qualche mese, anche questo pronostico è stato rimesso in questione: mentre gli Stati uniti rappresentavano l’epicentro del crack finanziario, l’indice Dow Jones era sceso meno (33,8%) dei corsi delle altre Borse mondiali; il dollaro, anzi… riguadagnava l’8,6% rispetto a un paniere rappresentativo delle grandi monete. Quanto al disimpegno ideologico, si sta ancora aspettando: Il vertice del G20, riunito a Washington nel novembre 2008, ha confermato che il libero scambio resta il credo generale, anche fra presunti governi di sinistra (Brasile, Argentina). Il che non impedisce agli uni e agli altri, e in primo luogo agli Stati uniti, di violarne le prescrizioni non appena l’emergenza nazionale l’imponga. Come se la ripetizione meccanica della preghiera resistesse alla meno peggio alla scomparsa della fede.
Tuttavia le eresie si moltiplicano. La crisi del debito – quei famosi crediti subprime riversati sui consumatori incapaci di rimborsarli – ha portato all’interruzione della domanda solvibile a livello mondiale. Come si pensa di rimediare? Con… la lievitazione del debito. I liberisti riscoprono John Maynard Keynes, ma il loro sgomento ideologico è tale che il settimanale Newsweek celebra già Karl Marx! La rivista americana ha persino scelto questo passaggio del Manifesto del Partito comunista come esergo a uno dei suoi fondi sulla crisi: “La moderna società borghese, che ha fatto sorgere come per incanto così potenti mezzi di produzione e di scambio, rassomiglia allo streegone che non può più dominare le potenze sotterranee da lui evocate (1)”.
Questo testo, datato 1848, è a conti fatti invecchiato meglio delle analisi del Fondo monetario internazionale (Fmi) dell’anno scorso… Nel novembre 2008, l’organizzazione presieduta da Dominique Strauss-Kahn annunciava infatti una crescita mondiale del 2,2% per il 2009; due mesi dopo, la previsione veniva “corretta”: sarebbe stata solo dello 0,5%. Quattro volte di meno! Così, coloro che si proclamavano modestamente “i migliori economisti del mondo”, architetti inconfutabili delle politiche neoliberiste in rotta, si mostravano, per di più, incapaci quel che sarebbe avvenuto l’anno stesso del loro vaticinio. “Da quarant’anni lavoro sull’economia delle grandi potenze, rivela lo storico Paul Kennedy, e non ho mai visto i dati evolvere così spesso e in tali proporzioni (2)”.
Paradossalmente, è sui tempi lunghi che l’interpretazione cessa di essere così aleatoria. Poiché – aggiunge Kennedy – spostando lo sguardo indietro di cinque o sei secoli, si vede che “la dipendenza americana dagli investimenti esteri si avvicina sempre più al livello di indebitamento estero che noi storici accostiamo a Filippo II di Spagna e Luigi XIV”. Molto più vicino a noi, al di là delle oscillazioni quotidiane dei prezzi dell’energia, le emergenze ambientali hanno confermato gli allarmi di trent’anni fa; il flusso dei rifugiati climatici è in aumento; la foresta amazzonica perde 10.000 chilometri quadrati ogni anno. Con previsioni così certe, anche l’Fmi potrebbe arrischiarsi senza sbagliare!
E non ci sbaglierà viepiù nell’affermare che molte opzioni bandite dalla doxa liberista risorgeranno – e peraltro hanno già cominciato a farlo. La rilocalizzazione della produzioni come rimedio a questo libero scambio “energivoro” che ha alimentato una deflazione salariale, essa stessa fattore scatenante della tempesta finanziaria; la nazionalizzazione delle banche per assicurarsi che i miliardi di aiuti pubblici irrighino l’industria di crediti piuttosto che gli azionisti di dividendi; l’aumento del prelievo fiscale sugli alti redditi quando persino uno dei consiglieri del presidente Sarkozy “sente sorgere dappertutto la rivolta delle classi popolari e delle classi medie contro le disuguaglianze nelle retribuzioni che hanno raggiunto livelli mai visti dal XIX secolo (3)”; l’inflazione, infine, per sgonfiare le montagne di titoli di credito sottoscritt dagli stati. D’ora in poi, non si tratterà più solo di sapere se il sistema sarà in grado di correggersi, ma per quanto tempo, a quale prezzo – e chi ne farà le spese.
Tuttavia la più gigantesca crisi economica dal 1929 sconvolge ma non spiega tutto. Le guerre del Medioriente, la messa al bando dell’Iran,le tensioni tra India e Cina, per esempio, ne rimangono largamente indipendenti. Però, anch’esse posseggono un forte potere destabilizzante in un pianete che ancora non sa se le crepe che si allargano disegnino il buco nero del caos o il cantiere del nuovo mondo.
Pur essendo abbastanza temerari da porre la questione, è bene essere abbastanza avvertiti per sapere che nessuna carta contiene (tutta) la risposta.

Serge Halimi

1. Peter Gumbel, “Rethinking Marx”, Newsweek, New York, 2 febbraio 2009.
2. Pau Kennedy, “American power is on the wane”, The Wall Street Journal, New York, 14 gennaio 2009.
3. Henri Guaino, intervista pubblicata nel quotidiano Le Figaro, Parigi, 24-25 gennaio 2009.

work in progress
 
Top
cyanide candy
view post Posted on 19/7/2009, 15:23




avvaiiiiiiii °-°
 
Top
1 replies since 18/7/2009, 18:52   55 views
  Share