Tra l'aprile ed il giugno 1994, circa 900.000 rwandesi (800.000 Tutsi e 100.000 Hutu) furono massacrati in soli 100 giorni. La maggior parte delle vittime erano di etnia Tutsi, la maggior parte dei perpetratori erano Hutu. Persino per un paese dalla storia turbolenta come il Rwanda, la scala del massacro fu tale da lasciare una ferita profonda nella coscienza collettiva dell'intero popolo.
Il genocidio fu generato dall'assassinio del presidente rwandese, un Hutu, il cui aereo fu abbattuto nei pressi dell'aeroporto di Kigali il 6 aprile 1994. Un rapporto ufficiale francese - rigettato dall'attuale classe politica rwandese - assicura, a 10 anni di distanza dai fatti, che dietro l'ordine di abbattere l'aereo presidenziale ci fosse l'attuale presidente, Paul Kagame.
Ad ogni modo, la morte del presidente diede il via ad uno dei più cruenti genocidi mai consumati in Africa in tempi moderni.
La tensione etnica in Rwanda non è un fenomeno nuovo. L'animosità tra Hutu e Tutsi - due gruppi etnici in realtà molto simili, dal momento che parlano la stessa lingua, abitano la stessa area e seguono le stesse tradizioni - è sostanzialmente cresciuta durante il periodo coloniale, per diretta volontà del governo coloniale belga. Quando arrivarono nell'area i colonialisti belgi, nel 1916, essi accentuarono le differenze tra i due gruppi etnici, producendo persino carte d'identità differenziate secondo l'etnia. I belgi considerarono i Tutsi superiori agli Hutu, conferendo loro incarichi migliori, opportunità educative e possibilità di entrare a far parte della gestione politica e sociale del paese.
Il risentimento tra gli Hutu generò una serie di rivolte, culminate in veri e propri eccidi nel 1959. Più di 20.000 Tutsi furono uccisi, e molti ripararono nei paesi vicini.
Quando i belgi lasciarono il paese ed il Rwanda ottenne l'indipendenza nel 1962, gli Hutu si sostituirono ad essi. Da allora, i Tutsi furono tenuti in stato di soggezione politica. La situazione si aggravò con il persistere di una crisi economica senza precedenti e con la formazione di un Fronte Patriottico Rwandese, costituito dai Tutsi rifugiatisi nei paesi circostanti, il quale cercò di rovesciare il governo in carica. Accusati di collaborazionismo, i Tutsi residenti in Rwanda furono sottoposti a massacri in tutto il paese dopo l'assassinio del presidente.
"Quando le Nazioni Unite decisero di mettere insieme una forza d'intervento, gli USA la ritardarono con la scusa dei veicoli blindati - le loro argomentazioni andavano dal colore con cui dipingere i veicoli a chi avrebbe pagato per dipingerli". Steve Bradshaw, reporter della BBC.
Nonostante la pace firmata qualche tempo dopo e la formazione di un nuovo governo con la partecipazione del Fronte Patriottico Rwandese, non tutti i perpetratori del crimine sono stati assicurati alla giustizia. Molti di essi si trovano tra i circa 2 milioni di Hutu fuggiti dal paese per timore di ritorsioni ed oggi residenti, come profughi, nello Zaire.
A seguito dello sterminio, molti rwandesi persero la fede non solo nel governo, ma anche nella loro religione. Infatti, quasi tutti i massacri del genocidio rwandese ebbero luogo nelle chiese, talvolta con la complicità dei leaders ecclesiastici. Quando il loro tradimento divenne noto, gran parte di questa popolazione quasi completamente cristiana perse la fede. Ora, dopo un decennio, molti rwandesi stanno sperimentando una nuova resurrezione spirituale. Centinaia di nuove sette carismatiche si stanno diffondendo ma appare inarrestabile l'ascesa dell'Islam.
I musulmani hanno guadagnato molto prestigio nel paese per aver salvato molti rwandesi da morte certa durante i massacri del 1994.
Durante gli eccidi di massa, le milizie accerchiarono il quartiere islamico, ma i musulmani di etnia Hutu non cooperarono con i killers anch'essi Hutu. La religione era più forte dell'etnia, ed i musulmani Tutsi furono risparmiati.
Oggi, 500 nuove moschee sono apparse nel paese, il doppio rispetto al 1994.
La Libia ha costruito un grande centro culturale islamico in Rwanda oltre 20 anni fa e l'Arabia Saudita finanzia alcune moschee.
Alì Uwimana, tiepido osservante della religione cattolica prima del 1994, fu disgustato dal comportamento dei leaders della chiesa durante il genocidio. Molti dei suoi parenti morirono all'interno della loro parrocchia a Kibungo, 40 km dalla capitale. "Le chiese si trasformarono in tombe", egli dice. "La chiesa cattolica oggi non ha più potere a causa di ciò che fece durante la guerra. Non puoi credere in Dio e permettere i massacri nella casa di Dio".
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