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Fascisti israeliani

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_NiKoPoL_
view post Posted on 27/7/2009, 16:06




L’articolo è parte di un dossier di articoli su Israele creato da Peace Reporter (che mi è stato passato da Marta).
Qui trovate la pagina
Ci tengo a sottolineare come gli eventi di cui si parla siano solo il culmine di una progressiva fascistizzazione della società ebraica israeliana.
Sono decisamente troppe le azioni compiute ripetutamente da governi israeliani a danno della popolazione araba non solo palestinese.
Discriminazione economica, politica e sociale; politica demografica di espansione (propaganda pro-nascite, costruzione colonie in territori a maggioranza araba), confinamento e reclusione della popolazione palestinese, militarizzazione della società e della politica, violazione delle convenzioni internazionali (uso di armi proibite, bersagliamento di civili e organizzazioni umanitarie, contenimento della popolazione, costruzione dei blocchi abitativi), uso ripetuto della forza e della minaccia militare (invasione del Libano, operazione piombo fuso), uso sistematico della polizia segreta (e violazione dei più basilari diritti umani, come ad essere processati).
La lista continua e potrebbe essere molto più dettagliata. Questa non è una presa di posizione contro gli ebrei ma contro lo stato di Israele e per come negli ultimi 50 anni ha gestito la propria permanenza.

In particolare la critica è diretta contro la politica razzista e xenofoba del neoeletto presidente Netanyau e del Likud, il suo partito.

Il seguente articolo offre numerosi spunti di riflessione:

In questi giorni, quando Barack Obama parla di Medio Oriente, c’è una cosa che preoccupa più di tutto alcuni 'alti funzionari israeliani'. ''Non ha parlato di Stato ebraico'', borbottano ai giornalisti, ''ha avuto tutto il tempo per usare queste parole, ma non lo ha fatto. Perché?''.
Lo stesso Benyamin Netanyahu pronuncia queste parole ogni volta che può. Si è spinto così in là da considerare la sua aspirazione come un prerequisito per negoziare con il presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, prima di essere zittito da Washington.
Ma perché questa improvvisa insistenza su ciò che dovrebbe essere una questione interna israeliana, cioè la auto-definizione dello Stato? Come ha commentato giustamente Abbas, Israele può chiamare se stesso Repubblica Ebraica Socialista, per quel che lo riguarda. Perché tirar fuori questa questione con Obama e Abbas, i principali interlocutori della politica estera israeliana?
La verità è che Netanyahu non sta parlando né ad Abbas né ad Obama. Si sta rivolgendo all’opinione pubblica mondiale, mentre si prepara ad affrontare la quarta parte del conflitto, tanto cruciale quanto trascurata: la minoranza israeliana-palestinese.

I palestinesi israeliani, la maggior parte dei quali sono palestinesi di nascita che sono rimasti in ciò che è divenuto Israele dopo il 1948, sono il 21 percento della popolazione. La loro stessa esistenza pone un serio interrogativo all’auto-percezione dello Stato di Israele come ebraico e democratico, e se si considera la popolazione della Cisgiordania e di Gaza, la proporzione di ebrei nelle aree controllate da Israele si riduce ad un misero 51 percento.
Nonostante le discriminazioni in tutti gli ambiti di vita – istruzione, casa, servizi pubblici, politica – la minoranza palestinese in Israele sta guadagnando lentamente terreno. Il numero di studenti palestinesi nelle università israeliane sta crescendo di anno in anno, le discriminazioni vengono affrontate attivamente nei tribunali e nella vita pubblica, e gli anni di trascuratezza delle condizioni abitative stanno mettendo in discussione l'egemonia ebraica perché spingono molti giovani professionisti palestinesi all’interno di aree che prima erano solo ebraiche.

Dunque c’è un dilemma, come vi dirà quasi qualunque sionista onesto. La dichiarata ragione d’essere di Israele è mantenere uno Stato ebraico rigidamente etnocentrico, in cui gli ebrei non saranno mai una minoranza. Il fatto di essere una minoranza deve essere inteso in senso emotivo piuttosto che numerico. Questo è importante per la nostra memoria storica come minoranze perseguitate, ma ancor di più perché mantenere una democrazia è la quintessenza della posizione di Israele nella comunità internazionale. Dall’altra parte, considerata la crescita dei palestinesi all’interno di Israele, una democrazia aperta che rispetta le regole avrà come risultato inevitabile l’erosione dello Stato-naziona purista. Dunque, nell’irrisolvibile dilemma fra 'ebraico', 'democratico' e 'palestinese', un elemento deve essere abbandonato. Il nuovo slogan di Netanyahu sembra indicare che quell’elemento sarà la minoranza palestinese in Israele.
Avigdor Lieberman è molto discusso per il suo razzismo, ma la sua linea rappresenta un’opinione che sta diventando mainstream in Israele: deve essere realizzato uno Stato palestinese, il prima possibile, prima che i palestinesi nei territori occupati inizino a richiedere il diritto di voto. Tuttavia la situazione geopolitica, in questo scenario, renderebbe Israele uno Stato bi-nazionale. La soluzione di Lieberman è di annullare la cittadinanza di circa la metà dei palestinesi israeliani e ridisegnare le mappe in modo che questi si trovino all’interno dei confini del nuovo Stato palestinese.

La soluzione di Lieberman è largamente condivisa; anche l’auto-proclamata colomba Tzipi Livni ha detto in diverse occasioni che ''una volta che sarà realizzato lo Stato palestinese, saremo in grado di dire ad ogni palestinese che voglia realizzare la sua identità nazionale di andare a farlo altrove''. In modo più minaccioso, recenti sviluppi sul terreno suggeriscono che la macchina per realizzare questa operazione senza precedenti è già in funzione.
Il Ministro dell’interno, Eli Yishay, ha lanciato il progetto legislativo che gli permetterà di annullare la cittadinanza di chiunque senza l’autorizzazione del procuratore generale dello Stato. Le forze armate hanno annunciato che assegneranno una speciale brigata di fanteria per ''avere a che fare con una potenziale rivolta araba in caso di guerra''. La scorsa settimana un’esercitazione della difesa nazionale includeva proprio questo scenario – mentre molti israeliani si esercitavano ad entrare in rifugi antibombardamento, l’esercito e la polizia si esercitavano a ''reprimere una rivolta araba su larga scala nel nord'' – proprio l’area in cui Lieberman propone il suo esperimento geografico. E lo stravagante disegno di legge calendarizzato di recente dalla Knesset, che spazia dall’abolire le commemorazioni per la Nabka al rendere la cittadinanza condizionata ad un giuramento di fedeltà allo Stato ebraico, contribuisce ad un’ulteriore allontanamento fra le due comunità e aggiunge nuove micce a un barile di polvere da sparo già sul rischio di esplodere.

Ci troviamo di fronte alla prospettiva di una pulizia etnica? In una certa misura, la pulizia etnica è sempre stata parte della vita pubblica di Israele. A parte le sue caratteristiche sanguinose, una pulizia etnica può essere condotta in molti modi. Anche l'espulsione delle famiglie dalle 'case illegali' e le pressioni economiche discriminatorie nei confronti dei migranti sono pulizia etnica. Sembra che si stia andando verso una fastidiosa e brutale escalation su questo fronte.
La ragione per cui Netanyahu non vuole farsi comprendere dai palestinesi che sono cittadini israeliani è precisamente perché la maggior parte di loro (più del 70 percento) vuole rimanere parte di una democrazia sovrana piuttosto che di un vago e improbabile staterello palestinese. La ragione per cui Netanyahu sta cercando di creare per loro una leadership esterna fittizia, cioè l’Autorità Nazionale Palestinese, è proprio perché la loro vera leadership – i loro sindaci, intellettuali, politici, ong – continuano a richiedere un dialogo interno, fra arabi ed ebrei, sul problema dei loro diritti e del ruolo che ogni comunità dovrebbe giocare in uno Stato realmente unito e democratico.
Bisogna opporre resistenza al tentativo messo in atto da Netanyahu per confondere i palestinesi israeliani con quelli della Cisgiordania. Se il premier vuole renderli parte del processo di pace regionale, questi dovrebbero poter parlare per loro stessi; se Netanyahu non vuole aprire loro la porta del dialogo, devono essere fatti entrare dalla finestra, e ogni discussione sul processo di pace deve essere caratterizzata dall'approfondimento delle condizioni di vita dei palestinesi israeliani. Ancora più importante, si deve iniziare e continuare ad assicurare una forte difesa internazionale dei loro diritti come legittimi cittadini di Israele.
 
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